Per alcune categorie la NASPI non sarà più fruibile, questo ha determinato grande preoccupazione nei percettori disoccupati.
La NASPI è quella che viene comunemente definita come “disoccupazione” ovvero un corrispettivo economico versato dall’INPS in relazione al tempo lavorato e ai contributi versati. Serve a coprire il periodo successivo al termine del lavoro per garantire adeguata sussistenza al lavoratore.
Il problema sta causando molta agitazione sia tra i percettori del sussidio che quindi hanno la NASPI attiva sia tra quanti invece temono risvolti sulla propria condizione, laddove si trovino ad essere licenziati successivamente.
NASPI eliminata per queste categorie di disoccupati
La Naspi viene riconosciuta mediante richiesta apposita all’INPS solo per coloro che sono stati licenziati quindi non per dimissioni volontarie, a meno che non si tratti di giusta causa. In queste condizioni il lavoratore percepisce un importo variabile e a scalare per un tot di mesi, in relazione agli anni in cui ha versato i contributi e comunque a copertura parziale del proprio stipendio.
Si tratta comunque di un beneficio temporaneo ma per molti è fondamentale, rappresenta la sussistenza quando si perde il lavoro e leggere di condizioni di questo tipo è sicuramente “avvilente” per tutti i disoccupati. Il problema infatti non riguarda solo coloro che stanno percependo il beneficio ma tutti, può subentrare anche la decadenza dello stesso in corso d’opera. I requisiti per ottenere la NASPI sono di due tipi, da un lato quello contributivo ovvero bisogna aver totalizzato almeno 13 settimane di contributi nei 4 anni precedenti dall’inizio della disoccupazione.
Il secondo riguarda appunto lo stato di disoccupazione. Questo vuol dire che per tutto il tempo in cui si fruisce del beneficio il soggetto non deve lavorare, che sia un impiego autonomo o subordinato. Va anche fatta immediata richiesta per la disponibilità al lavoro e il patto di servizio.
Qualunque rapporto di lavoro superiore a sei mesi o di un importo che viene escluso dal reddito minimo comporta la decadenza, la sospensione scatta quando c’è il reddito minimo entro gli 8.174 euro ed entro i sei mesi. Si parla di misura ridotta laddove il lavoratore comunichi entro 30 giorni dall’inizio dell’attività il proprio reddito, il datore sia diverso dal precedente. In caso di mancata comunicazione ci sono conseguenze importanti che possono poi portare alla perdita totale del beneficio. A queste regole si applicano comunque sia quella fiscale, quindi reddito che non deve essere superiore all’importo previsto e anche durata massima di sei mesi.
Anche per coloro che raggiungono l’età per il pensionamento anticipato o di vecchiaia il beneficio decade perché di fatto l’ente previdenziale erogherà un altro tipo di contributo in quel caso.